P. Checconi Giocondo
Compio una promessa fatta nel 1948 Dopo una accesa discussione con P. Checconi Superiore del Collegio Alberoni sul comportamento del nostro gruppo di studenti non in linea con lo stile austero del Collegio, gli dissi: «Noi la stimiamo, ed io le prometto che, quando sarà l'ora, scriverò la sua vita». L’ora è venuta, da lui lungamente desiderata, date le infermità che non gli permettevano più neppure di celebrare la Messa, e neppure di leggere.
P. Checconi riteneva in se un po’ del caratteri umbro, toscano e laziale. Umbro era di discendenza, toscano di nascita, a Sorano in provincia di Grosseto il 23 novembre 1907, laziale per aver passato l’infanzia ad Acquapendente dove si era trasferita la famiglia e dove è sempre rimasta; nel Lazio, a Roma, è vissuto tanti anni per studi e ministero.
Dell’umbro aveva il senso spiccato alla pietà con slanci mistici, del toscano il linguaggio preciso nel rendersi conto e nel riferire anche i minuti dettagli degli avvenimenti che lo riguardavano, e si avrà il quadro di una personalità complessa e lineare nello stesso tempo.
Dopo il ginnasio nella nostra Scuola Apostolica e i due anni di “Seminario Interno” (Noviziato) a Roma, passò al Collegio Alberini di Piacenza per gli studi filosofici. Ritornò a Roma per il Corso Teologico all’Angelicum, concluso con la laurea nel 1934. Nella tesi di difese la dottrina che l’episcopato non è l’accrescimento dell’ordine sacerdotale, come riteneva la scienza comune, ma un nuovo ordine. Questa dottrina è stata accettata uffcialmente dal Concilio Vaticano II (Lumen Gentium 22; Christus Dominus 4.) Padre Checconi non è ha mai fatto menzione, fedele sempre, anche nel resto dei suoi studi e ministeri, al detto biblico: «E’ bene tener nascosto il segreto del re, ma è cosa gloriosa rivelare e manifestare le opere di Dio» (Tb 12,7): tanta era la sua umiltà e riservatezza. A questo proposito è rimasta famosa la rinuncia al titolo di Conte di Cadeo annesso alla carica di Superiore del Collegio Alberini, ricoperta da lui alla promulgazione della Costituzione Italiana (1948), che dice: “I titoli nobiliari non sono riconosciuti”.
Date le sue spiccate doti intellettuali e il rigore razionale di linguaggio, fu inviato a frequentare la facoltà di giurisprudenza dell’Università Cattolica di Milano, dove si è laureato nel 1941, mentre contemporaneamente insegnava Diritto canonico e civile e altre discipline nel Collegio Alberini. Il suo insegnamento era lineare, lucido, preciso. Un alunno, che si era laureato in giurisprudenza a Siena prima di entrare in comunità, si diceva sorpreso di quell’insegnante: a Siena non aveva trovato nessun Maestro come lui, eppure in quella università brillavano celebrità in campo nazionale. Il padre rendeva attraente la materia, alquanto arida, anche con barzellette appositamente preparate.
Per la sua competenza in “utroque” e la sua onestà intellettuale unita a discrezione fece parte a lungo del tribunale ecclesiastico diocesano di Piacenza come difensore del vincolo, onorato da tutta quella Chiesa.
Al Collegio Alberoni ricoprì diversi incarichi: direttore degli studenti vincenziani, prefetto di sacrestia, amministratore della rivista Divus Thomas, bibliotecario (celebri le sue richieste insistenti scritte e appese all’albo dei servizi ministeriali dei libri “spariti” dalla biblioteca e rimasti in camera di qualche insegnante distratto). Come bibliotecario aveva cura dei nuovi acquisti, della loro catalogazione e della rilegatura delle numerose riviste, alla quale provvedevano gli studenti vincenziani dopo cena dietro un piccolo compenso. Fu superiore a più riprese; rigido con se stesso, era indulgente con i collegiali e piuttosto rigoroso con gli studenti C.M., perché, diceva, questi facevano professione di perfezione evangelica. Questo stile conservò anche nel Convitto Ecclesiastico Leoniano e perciò molto stimato e amato dai convittori. Amato e rispettato da tutti particolarmente a Piacenza e a Veano, luogo della villeggiatura alberoniana.
Qui, dopo la vita austera impegnata nello studio in collegio, incitava a scelte allegre e originali: canti, gite, teatro … Era come una seconda vita, e ne godeva lui per primo. Sapeva distinguere i tempi e viverli e farli vivere in pienezza, praticando la saggezza di quel “omnia tempus habent”. Con quel che segue (Qo 3,1-8). E’ l’atteggiamento dei santi e dei grandi educatori. Ha esercitato tutte le cariche affidategli come servizio, praticato con precisione e fedeltà; prudente nelle scelte e nelle decisioni, era tenace e risoluto nella loro realizzazione, impegnandosi come sacrificio personale.
Nonostante le numerose e alcune pesanti, incombense, si donava con entusiasmo all’apostolato nelle parocchie, dove era atteso per le confessioni e dai parroci per la pulizia dei locali e delle chiese. Famose le sue “stragi” delle ragnatele. Amava l’ordine dappertutto. Accettava la predicazione e vi si preparava con impegno, ma non era oratore, anche se gli fu assegnato l‘insegnamento della " sacra eloquenza ", nella quale per altro riusciva a suscitare interesse negli alunni. Quel ragionare misurato, un po' freddo, ebbe fortuna dopo la rivoluzione oratoria avvenuta "nell'introduzione del microfoni che non permetteva più l'enfasi tradizionale. Da allora attirava attenzione e suscitava persuasione. Freddo nell'esporre, ma caldo nel cuore e delicato: era uno di quegli uomini che, per pudore e misura, si trattengono dal manifestare il loro interno.
Il P. Checconi è stato educatore deg1i ecclesiastici, seminaristi e sacerdoti, per tutta la vita. A Piacenza e a Roma A Roma è stato direttore prima e vice dopo del Convitto Ecclesiastico Leoniano dal 1975 al 1996 : la più lunga e caratteristica permanenza di un confratello in quel servizio gravoso poco gratificante. Vi rivelò un servizio umile, silenzioso, sempre attivo in ogni ora, anche la meno opportuna, con la delicatezza, una precisione veramente encomiabili, riconosciutegli anche negli ambienti vaticani. Durante la sua direzione del Convitto vanno ricordati due avvenimenti particolari, che tanto lo fecero soffrire e che lui seppe dominare e risolvere con raro equilibrio. In un tempo di crisi, gli fu affidata la direzione dello studentato internazionale C.M.; egli seppe risolvere la crisi con la sua autorevolezza unita a prudenza e misericordia. Da allora lo studentato Internazionale è integrato nella comunità del Leoniano, forse anche per suo suggerimento. L'altro avvenimento riguarda l'inserimento nel Convitto di 21 seminaristi e 2 sacerdoti staccatisi da Encône, sede della comunità scismatica del vescovo Lefebvre, per animare il “Centro di formazione Leone XIII”. Il gruppo fu ospite del Convitto nell’anno scolastico 1977-78, inviato dalla S. Congregazione per l'educazione cattolica su invito dello stesso Paolo VI, che ben conosceva la serietà e la serenità dell'ambiente e apprezzava i confratelli del movimento liturgico, nei quali confidava per un recupero de1 gruppo alla recente Riforma liturgica, pomo della discordia, come è noto, tra Roma ed Encône Invece fu proprio lo scoglio della liturgia a rendere quell’anno travagliato e infine fece decidere i Superiori a chiedere e ottenere la fine dell'esperimento, accettato “con religiosa obbedienza” e adempiuto con tanta dedizione e amore. L' 8 giugno 1978 il Cardinale Prefetto del S. Dicastero, annunziando che “il Leoniano sarà sollevato da questa comunità difficile”, riconosceva “ la pena e le pene che voi avete assunto lungo tutto l’anno”. La conclusione di tutta la vicenda la presentò P. Checconi ai “giovani aspiranti al sacerdozio” il 19 in cappella dopo la Messa. La riporto perché bene esprimere lo stile e la delicata fermezza del nostro confratello. “ Il gruppo di confratelli incaricati di occuparsi della vostra formazione ha avuto sempre l’intenzione di attuare le direttive della S. Congregazioni per l’educazione cattolica, per coltivare la vostra vocazione al sacerdozio e formare di voi dei futuri sacerdoti come oggi desidera la Chiesa … Auguro quanto prevede l’art. 5 delle Norme Regolamentari … che cioè ognuno di voi, per rendere efficace la permanenza nel nuovo istituto, possa mettersi in atteggiamento di apertura e di ascolto nei riguardi dei propri Educatori, con fiducia, con schiettezza, con libertà di spirito e soprattutto con fede”.
Come studioso P. Checconi è rimasto esemplare per l’atteggiamento culturale, di cui faceva parte agli alunni in ogni lezione, e per gli scritti ( non molti) sulla rivista Divus Thomas.
Le sue recensioni si distinguevano per il rispetto degli autori anche quando avrebbero meritato critiche e persino stroncature. Era troppo modesto, umile e caritatevole per affrontare di petto gli avversari e i deboli; su tutti calava un velo di bontà e di misericordia.
P. Checconi ha goduto buona salute per tanti anni. Lo riconobbe lui stesso nell’ottantesimo compleanno festeggiato con solennità e cordialità nella chiesa del Collegio Leoniano con una concelebrazione partecipata dai confratelli e da tutti i convittori; solo le gambe, ammise, gli creavano problemi. Non rivelò allora i vari fastidi che lo affligevano e che lo costrinsero a ricoverarsi più volte negli ospedali romani. Sapeva nascondere i suoi mali; bisognava scoprirli e costringerlo a curarsi. Un giorno che per una pericolosa crisi cardiaca come Direttore del Convitto lo feci ricoverare al gemelli, mi rimproverò; si placò quando si riebbe dopo una respirazione artificiale, di cui risentiva i dolori al torace. Forte e paziente, solo quando l’infermità permanente lo costrinse all’inattività accettò il ritirarsi nella infermeria di Siena. Aveva 89 anni!
A Siena ha continuato a celebrare la Messa per molti anni, con il declino fisico accettato serenamente, si è rifugiato nella preghiera personale e, certamente, contemplativa. E’ piamente spirato nella casa pia di Siena il 10 aprile 2005, a 97 anni di ètà, 79 di vocazione vincenziana, 72 di sacerdozio.
Sarà ricordato come una delle figure eminenti nella storia secolare del Collegio Alberoni e uno dei Confratelli della nostra Provincia più attivi e apprezzati per le sue doti intellettuali e morali.
(P. Gaetano Calenne, c.m.)