• Ultima modifica: Martedì 30 Ottobre 2018, 09:31:19.

Mons. Bugnini Annibale

Gaudium Domini Fortitudo

Gaudium Domini Fortitudo

Arcivescovo titolare di Diocleziana Pro-Nunzio Apostolico in Iran

Arcivescovo titolare di Diocleziana
Pro-Nunzio Apostolico in Iran

Cenni biografici

Annibale Bugnini di Giobbe e di Maria Agnese Ranieri, nato a Civitella de’ Pazzi (ora Civitella del Lago) in Provincia di Terni e Diocesi di Todi il 14 giugno 1912, fece le Scuole Elementari al paese natale (1918-1923); ammesso nella Scuola Apostolica S. Vincenzo de’ Paoli di Roma compì gli studi ginnasiali alle Scuole del Pontificio Seminario Romano Minore nel Palazzo Santa Marta in Vaticano (1923-1928); ricevuto nel Seminario Interno (Noviziato) della Congregazione della Missione al Collegio Leoniano il 5 ottobre 1928, emise i Voti Religiosi il 6 ottobre 1930.

Il giorno dopo, 7 ottobre, giunge a Piacenza al Collegio Alberoni per iniziarvi gli studi di Liceo e Filosofia, come alunno della Camerata 688 insieme con gli studenti della Missione Cuccino Angelo (poi missionario in Albania), Ravaneti Lino e Morosini Giuseppe (cappellano militare della resistenza, medaglia d’ oro al valor militare, fucilato dai Tedeschi al Forte Bravetta il 3 aprile 1944), e insieme con i chierici della Diocesi Piacentina. Compito il primo triennio degli studi alberoniani, il 10 ottobre 1933 lasciò l’Alberoni per iniziare in Roma la Teologia all’Angelicum con i Padri Domenicani, studi completati nel 1938 con la tesi dottorale De liturgia eiusque momento in Concilio Tridentino.

Il 26 luglio 1936 era stato ordinato Sacerdote a Siena da S.E. Mons. Alcide Giuseppe Marina, già suo Superiore al Collegio Alberoni e poi suo Provinciale a Roma, Arcivescovo titolate di Eliopoli di Fenicia, prima che egli partisse per Teheran come Delegato Apostolico dell’Iran.

Don Annibale iniziò il suo ministero sacerdotale alla periferia di Roma nella Cappella rurale dei Gordiani, parecchi anni prima che divenisse Parrocchia, con il catechismo ai bambini e la celebrazione festiva della S. Messa. Il contatto con il popolo, con i bambini soprattutto, sviluppò nel giovane sacerdote il desiderio di aiutare quelle anime ad assistere con profitto alla Santa Messa. Il suo opuscolo La nostra Messa, nelle varie edizioni, che arriverà poi a un milione di copie stampate, nasce inizialmente dal primo apostolato liturgico di Don Bugnini.

Più tardi, ma ancora durante la guerra, frequentò il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana per addestrarsi maggiormente nello studio delle fonti della liturgia, materia nella quale diverrà poi maestro. Senza di lui, animatore ed attore principale, la Chiesa non avrebbe avuto né la Costituzione sulla Liturgia del Concilio Vaticano II, nè la riforma liturgica dei nostri tempi.

Segretario a fianco del Cardinale Lercaro, del Consilium ad exequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, nominato Arcivescovo titolare di Diocleziana il 6 gennaio 1972, e ricevuta l’ordinazione episcopale dal Papa Paolo VI il 13 febbraio successivo, la riforma liturgica si avviava verso la conclusione (un paio d’anni ancora di lavoro sarebbero bastati), quando l’11 luglio 1975 giunse inaspettata la fusione della Sacra Congregazione dei Sacramenti e quella del Culto Divino, senza che mons. Bugnini vi fosse confermato nell’incarico di Segretario.

Il 5 gennaio 1976 Mons. Bugnini fu nominato Pro-Nunzio Apostolico della Repubblica Islamica dell’Iran, missione per la quale non si sentiva ne preparato ne chiamato, ma che accettò in spirito di fede e di obbedienza. Raggiunse così Teheran come rappresentante del Papa in terra Islamica, come quarant’anni prima (nel 1936) aveva fatto il suo Superiore Mons. Marina, a servizio della Chiesa.

Rientrato in Italia nell’estate del 1982 per un intervento chirurgico, fu ricoverato in Roma alla Clinica Pio XI. Il 3 luglio, in modo imprevisto e improvviso, pochi momenti dopo aver ricevuto l’Eucaristia, mentre stava per lasciare la Clinica e iniziare un periodo di riposo prima di tornare alla sua missione a Teheran, passava dalla mensa che ci nutre nel cammino terreno al convito eterno. La chiamata del signore è giunta improvvisa, inaspettata; ma il pensiero della morte era familiare a Mons. Bugnini.

Nella Chiesa di San Gioacchino ai Prati di Castello in Roma il 5 luglio si svolsero le esequie del compianto Presule. La concelebrazione della Santa Messa è stata presieduta da Sua Eminenza il Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli. Egli, preso come soggetto dell’omelia il passo evangelico «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli» (Lc. 12,37) e, ricordato il servizio sacerdotale reso alla Chiesa da Mons. Bugnini alimentando il proprio zelo alle sorgenti dello spirito di San Vincenzo de’ Paoli, ci tenne anche a ricordare la sua lunga amicizia con lo scomparso con queste parole: «La mia conoscenza di Annibale Bugnini risale agli anni della prima adolescenza, quando il Collegio Alberoni ci accolse entrambi per gli studi liceali: lui fra gli studenti della Congregazione della Missione, e me fra gli alunni degli indimenticabili Superiori e Professori che la Congregazione della Missione assicurava a quel sempre ricordato istituto, nel quale sotto la guida dei Figli di San Vincenzo, tante generazioni di Sacerdoti, fra i quali non pochi Vescovi e Cardinali - alcuni di essi qui presenti - si sono formati per circa due secoli e mezzo dalla sua fondazione. Il vivere sotto lo stesso tetto in una costante comunione di consuetudini, entro il contesto di una medesima formazione umana e cristiana, ispirata all’ideale luminoso della tradizione vincenziana, favorì l’instaurarsi di un vicolo di amicizia, che non venne mai meno col passare degli anni», Del servizio reso alla Chiesa nel campo liturgico da Mons. Bugnini, prima ancora della sua «missione diplomatica svolta con zelo, con dignità e saggezza» in paese islamico, il Cardinale Casaroli si espresse in questi precisi termini: «La sua attenzione andò sempre più orientandosi verso il campo della liturgia, erede anche in questo di una affermata tradizione della famiglia lazzarista: campo ove le sue qualità innate e l’assidua preparazione ebbero modo di esprimersi con una forza singolare. Venne cosi delineandosi il più specifico,. certo, dei servizi resi da P. Bugnini alla Chiesa. E noto il ruolo che egli ebbe nella preparazione e nell’attuazione della riforma liturgica, durante e dopo il Concilio Vaticano II. Nessuno, anche fra chi dissentisse da alcune scelte concrete da lui favorite nel corso di quella complessa opera di trasformazione e di adeguamento, che i tempi avevano resa necessaria e urgente, potrà legittimamente misconoscere la dedizione e l’entusiasmo con cui il defunto consacrò le proprie energie a tale impegno di portata storica. E nessuno che ami ‘sentire cum Ecclesia’ mantenendo insieme l'animo aperto ai ‘segni dei tempi’, potrà ignorare i risultati positivi, che la riforma alla quale egli collaborò ha sortito e continua a sortire, là dove essa è stata correttamente applicata».

La salma venerata del compianto Confratello è stata poi portata nel Cimitero del suo paese natale, Civitella del Lago.

G.F. ROSSI C.M.

RICORDO DI MONS. A. BUGNINI

La tomba di Mons. Bugnini è segnata dall’iscrizione sepolcrale da lui stesso dettata MONS. ANNIBALE BUGNINI ARCIVESCOVO LITURGIAE CULTOR ET AMATOR , SERVI’ LA CHIESA.

E quell’epigrafe testimonia altamente la verità perchè la liturgia fu il campo di lavoro suo specifico al quale si dedicò con amore fin dalla giovinezza.

Nel 1938 P. Bugnini terminò i suoi studi in Roma all’ Angelicum con la tesi dottorale in teologia: De liturgia eiusque momento in Concilio Tridentino. L’orientamento alla liturgia era emerso in lui negli anni del corso teologico. Fu un impegno personale, sostenuto dall’esempio e dall’incitamento dei suoi confratelli addetti alla direzione delle Ephemerides Liturgicae. Studio personale che completò frequentando, verso la fine della guerra (1943-1946), il Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana in Roma. Gli furono maestri Enrico Iosi, Antonio Ferrua, Engelberto Kirschbaum, Angelo Silvagni, Cuniberto Mohlberg, e con essi conservò rapporti di amicizia e di stima scambievole. Furono, questi, gli anni in cui cominciò a far amare la liturgia ai giovani che iniziavano la loro preparazione al sacerdozio nella sua Comunità, attraverso la pratica minuziosa delle cerimonie, l'insegnamento delle nozioni fondamentali, la stima di tutto ciò che aiuta il sacerdote a formarsi alla liturgia anche nella bellezza e nella precisione del servizio religioso.

In questo medesimo periodo, P. Bugnini inizia anche l’altra parte del suo servizio sacerdotale nella vita della sua Comunità, con il ministero a favore del clero. Nel 1938, la S. Congregazione per i Seminari chiede ai Superiori del Collegio Leoniano di Roma di aprire un Convitto Ecclesiastico per i giovani sacerdoti che compiono i loro studi presso gli Atenei Romani: P. Bugnini ne è il primo direttore (1939-1944 e poi 1952-1953), ne organizza le strutture e imprime quella linea di austera serietà che è ancora ricordata dagli alunni di allora, diversi dei quali sono Vescovi o impegnati nel servizio della Santa Sede o delle loro Chiese.

Si precisano così le due linee della sua attività: dedicazione alla liturgia e alla sua famiglia religiosa che amò intensamente: sono i due poli che ritornano nella sua attività di lavoro e di studio. Anche negli anni di maggiore impegno nel servizio della Santa Sede, non si emarginò mai dalla vita della sua Comunità, anzi continuò ad amare e ad approfondire lo spirito vincenziano come scuola di amore alla Chiesa e come espressione di forte spiritualità.

Ma è nel 1945, al termine della guerra, che P. Bugnini entra definitivamente nel campo della liturgia. È con la nomina a direttore delle Ephemerides liturgicae, compito che conserverà per vent’anni, fino al 1963. Si trattava di ristrutturare la Rivista, di portarla ad un livello di rispetto e di promozione nel campo culturale. Il nuovo direttore iniziò con una presa di contatto personale con gli studiosi di liturgia e con i centri liturgici europei, portando i nomi più prestigiosi nell’elenco dei collaboratori della Rivista.

Sono di questo periodo anche la collana «Ardens et lucens» che affiancava le Ephemerides e che nei pochi anni di vita raccolse titoli di valore, come pure i due volumi della «Miscellanea Mòhlberg» in onore del suo maestro. 

Anche il movimento liturgico italiano che allora si andava organizzando ebbe P. Bugnini tra i primi aderenti e animatori: fu infatti uno dei fondatori del Centro di Azione Liturgica, e per molti anni ne fu membro del Consiglio Direttivo e animatore delle Settimane liturgiche.

Questo contatto con l’ambiente di studio, romano e internazionale, portò P. Bugnini nell’ambito della Curia Romana. Furono prima relazioni nate dal lavoro di direzione delle Ephemerides, ma sfociarono poi in un impegno più programmato e stabile, di collaborazione con la Sezione Storica della S. Congregazione dei Riti.

Ormai il suo nome era quotato nell’ambiente romano, e fu un susseguirsi di impegni e di incarichi. Non è possibile che darne un elenco scarno. Nel campo dell’insegnamento: professore di liturgia nella Pontificio Università Urbaniana (1948-1967), professore di liturgia e di legislazione liturgico-musicale nel Pontificio Istituto di Musica Sacra (1955-1964); professore di liturgia pastorale al Pontificio Istituto Pastorale dell’Università Lateranense (1057-1962). L’insegnamento gli fece maturare l’iniziativa lanciata durante il Congresso di Liturgia Pastorale ad Assisi (1956) di una settimana annuale di studio per i professori di liturgia nei seminari italiani: ne organizzò le prime tre (1957-1959) e poi lasciò l’iniziativa al CAL.

L’attività di insegnamento richiama, quasi necessariamente, la sua produzione letteraria in campo liturgico. P. Bugnini, nonostante la sua passione per lo studio, non è autore di grandi opere scientifiche. I suoi scritti sono piuttosto «occasionali»; sono di preparazione, di commento, di illustrazione e divulgazione delle riforme liturgiche che si sono susseguite dal 1951 in poi.

Si può però facilmente notare la precisione nella ricerca delle fonti e nella documentazione, e una loro lettura che è allo stesso tempo appassionatamente storica ma confrontata con le situazioni e le esigenze nuove della vita della Chiesa: una passione, questa, che ne guiderà il lavoro soprattutto nei momenti di maggiore impegno.

Papa Paolo VI e Mons. Bugnini il giorno dell'Ordinazione  Episcopale il 13 febb. '72
Papa Paolo VI e Mons. Bugnini
il giorno dell'Ordinazione
Episcopale il 13 febb. '72

A servizio della Santa Sede, negli uffici della Curia Romana, fu: Segretario della Commissione per la riforma generale della liturgia, di Pio XII (1948), Addetto alla Sezione Storica della S. Congregazione dei Riti e poi anche Consultore della medesima Congregazione (1956), Consultore di Propaganda Fide (1960), membro della Commissione Liturgica diocesana di Roma (1956) e della Commissione liturgica per il Sinodo di Roma (1960), per il Vaticano II, membro della Commissione Antepreparatoria (1959), Segretario della Commissione Liturgica preparatoria (1960) e Perito della Commissione Conciliare per la liturgia (1962), e della Commissione pro episcopis (1963), Segretario del «Consilium» (1964), Sottosegretario della S. Congregazione dei Riti (1965), Delegato per le Cerimonie Pontificie (1968), Segretario della S. Congregazione per il Culto Divino (1969). Il 6 gennaio 1972 dal papa Paolo VI fu nominato Arcivescovo titolare di Diocleziana e da lui fu ordinato il 13 febbraio seguente. Il 5 gennaio 1976 fu nominato Pro-Nunzio Apostolico in Iran.

Non è un «cursus honorum» , ma un curriculum di impegni via via più pesanti e di sempre maggiore responsabilità di fronte alla Chiesa. E una vita che viene assorbita dalla liturgia da amare, approfondire, promuovere, perché sia compresa e vissuta, e così diventi realtà della «historia salutis» per la Chiesa e per ogni credente.

Un primo contributo notevole al rinnovamento liturgico P. Bugnini lo diede come Segretario della «Commissione per la riforma generale della liturgia» costituita da Pio XII (1948). Fu un organismo limitato come uomini che ha impegnato, come lavoro svolto e anche come impostazione del lavoro stesso, a causa delle circostanze storiche. Soprattutto era circondato da gran segreto, e ancora oggi i suoi progetti sono poco conosciuti. P. Bugnini, come segretario, fece, senza volerlo, l’esperienza di quello che sarebbe stato poi l’impegno fondamentale del suo lavoro come segretario della Commissione conciliare, nella preparazione, e poi del «Consilium». Nel lavoro di questa Commissione contribuì all’inizio della riforma con la restaurazione della Veglia Pasquale e poi con il rinnovamento della Settimana Santa. Fu grande la sua gioia in quella notte di Pasqua del 1951 nella povera cappella di una parrocchia della periferia di Roma, dove svolgeva il ministero sacerdotale la domenica.

Queste esperienze pastorali erano per lui come uno stimolo e una verifica che lo portarono a sentire l’esigenza del rinnovamento della liturgia. Allo stesso modo, il contatto con il clero gli fece percepire urgente il bisogno di semplificazione delle rubriche del Messale e del Breviario, per facilitarne la preghiera. C’era in lui un collegamento sentito, quasi un esigenza da coltivare, tra vita sacerdotale, vita della comunità cristiana e liturgia. Non era solo lo studioso delle fonti; amava verificare e vivere le possibili soluzioni nella pratica della vita pastorale. Per cui nacque anche il suo sussidio per la partecipazione dei fedeli «La nostra Messa» che in quel momento era all’avanguardia del movimento liturgico italiano. All’inizio non fu neppure creduto: ma ebbe, in varie edizioni successive, un milione di copie.

Mons. Bugnini durante una celebrazione Eucaristica
Mons. Bugnini durante una
celebrazione Eucaristica

Le esperienze positive e negative nel lavoro della Commissione Piana hanno guidato P. Bugnini nel compito ben più impegnativo dell’organizzazione della Commissione Preparatoria del Concilio per la liturgia. La prima preoccupazione fu la scelta dei membri e dei consultori: con un criterio che seppe comporre la competenza, l’universalità e la disponibilità, raccolse le forze vive allora operanti nel campo liturgico. Quando, nel novembre 1960, la Commissione tenne la prima riunione plenaria, ci si rese conto della potenziale capacità di resa. Il Segretario propose dei criteri di lavoro ben ponderati: apporto della teologia, della storia, della spiritualità; verifica del valore pastorale delle scelte; considerazione dell’universalità e del pluralismo della Chiesa e del mondo a cui ci si rivolgeva. Tutto ciò da realizzare in un rapporto di serena fiducia, di libertà di espressione, di rispetto delle persone e delle idee. E si può dire che all’interno della Commissione questa linea fu osservata, nonostante il numero dei componenti (63) e delle varie commissioni (13). Non sono mancati alcuni momenti difficili, qualche interferenza, qualche timore. La capacità di mediazione del Segretario seppe far fronte alle varie situazioni e far rientrare nel programma vari aspetti che sembravano dover creare difficoltà o addirittura, rigetto da parte di qualche organismo della Santa Sede.

Anche la previsione della proposta da sottoporre ai Padri Conciliari, diversi come provenienza, preparazione e comprensione della liturgia, fece sì che il Segretario guidasse la Commissione a una linea moderata, pur nella affermazione e difesa dell’essenziale. E la bontà della linea fu verificata in Concilio: le posizioni della Commissione Preparatoria furono tutte riprese e approvate, anzi aprirono il cammino ad ulteriori precisazioni e progressi venuti dall’Assemblea Conciliare.

Purtroppo, il lavoro della Commissione Preparatoria si chiuse per P. Bugnini con una prova personale di sofferenza umana. Nella nomina della Commissione Conciliare il nuovo Presidente preferì altra persona come Segretario. La sofferenza di P. Bugnini non fu tanto nel vedersi messo da parte come persona, quanto il vedere giudicato negativamente il lavoro, frutto di sacrifici e di apporto di tante persone di valore, e soprattutto nel vedere come posti in dubbio i principi che lo avevano guidato. E ciò non con una affermazione chiara, ma attraverso quelle insinuazioni di dubbio che accompagnano queste situazioni, senza che vi sia un punto di riferimento a cui rifarsi per dialogare e spiegarsi serenamente. In questo clima di incertezza non gli fu riconfermato neppure l’incarico di professore all’Istituto Pastorale del Laterano. La sofferenza umana fu alleviata dalla fiducia nella bontà dell’opera e della causa servita, dall’affetto e dalla stima di tanti collaboratori e di molti vescovi del Concilio.

Così P. Bugnini, durante il Concilio, prestò serenamente la sua collaborazione come semplice perito Conciliare della Commissione per la liturgia.

La più bella consolazione, credo, la ebbe il 22 novembre 1963, quando nella Congregazione Generale i Padri approvarono la Costituzione sulla liturgia. P. Bugnini era in una tribuna dei Periti. Un applauso salutò l’esito della votazione e le parole del Segretario del Concilio che ringraziava quanti avevano collaborato a questo esito. Il Card. Tisserant ricordò anche il defunto Card. Cicognani: e mentre i Periti gli si facevano attorno per rallegrarsi con lui, P. Bugnini sorridente e con le lacrime agli occhi, scomparve rapidamente, in silenzio. Era il primo riconoscimento del lavoro svolto e la certezza che tante le fatiche non sarebbero andate perdute.

La Costituzione sulla liturgia fu approvata e promulgata il 4 dicembre 1963, così come la Commissione Preparatoria l’aveva redatta. P. Bugnini fu chiamato da Paolo VI e affiancato al Card. Lercaro, come Segretario, per realizzare le decisioni conciliari: nasceva il «Consilium ad exsequendam Constitutionem de sacra liturgia».

I principi ispiratori del lavoro erano stati fissati dal Concilio. Si trattava di impostare un lavoro, di animarlo, perché in uno spazio di tempo ragionevole il programma di riforma trovasse realizzazione. E tutti sanno quanto la situazione fosse delicata con una periferia che molto spesso procedeva arbitrariamente, anticipando qualsiasi decisione dell’autorità. Il primo passo fu la scelta del personale, gli operai, spesso sconosciuti, che avrebbero dato l’apporto decisivo.

Al «Consilium» composto di una cinquantina di Cardinali e Vescovi, furono affiancati 150 Consultori delle varie parti del mondo, con competenze ed esperienze diverse, in grado di condurre avanti il programma. 40 Commissioni in una serie innumerevole di riunioni hanno preparato, attraverso 365 schemi per le Plenarie, le 13 sessioni del «Consilium», da cui sono derivati i nuovi libri liturgici, oltre a numerosi altri documenti che hanno orientato l’applicazione della riforma liturgica. P. Bugnini seppe coordinare tutto con tatto, con prudenza, componendo le differenze, animando nei momenti di stanchezza o nei pericoli. Ci fu libertà di espressione, di sentimenti, di confronto leale, un grande amore per la Chiesa, una grande preoccupazione pastorale. Non tutto è perfetto, varie cose hanno bisogno di essere completate o altrimenti definite alla luce dell’esperienza. Si trattava di superare, tra le varie difficoltà, e i vari pericoli, anche la fretta di tanti pastori e di tante comunità, oltre che le diffidenze, le incomprensioni, le ostilità di qualcuno, specie quando tutto questo si andava dove non avrebbe dovuto trovarsi. Una grande abilità comunemente riconosciuta al Segretario del «Consilium» fu il saper mediare le varie esigenze, spesso non facilmente conciliabili, almeno a prima vista. Ciò costituiva una lotta anche per il suo temperamento, che molti pensavano spontaneamente battagliero e intransigente.

Sotto il sorriso e la serenità c’era qualche volta l’apprensione, una qualche indecisione iniziale o, per chi non lo conosceva da vicino, quasi l’impressione di un po’ di tergiversazione nelle scelte. Ma chi, di fronte a decisioni di così vasta portata e responsabilità, si sente sempre tranquillo e pienamente sicuro?

La sorgente della sua forza e della sua serenità fu la fiducia che in lui riponeva il Papa.

Non c’erano solo i promemoria, a volte anche voluminosi e dettagliati, che andavano al Papa e da lui tornavano personalmente annotati. Era il Papa stesso che amava discutere con P. Bugnini i punti principali,. le soluzioni più impegnative.

E spesso, dopo il colloquio, faceva pervenire una pagina di appunti con il suo pensiero espresso in forma positiva o interrogativa o con qualche suggerimento; ma sempre con la delicatezza e la signorilità che gli era propria. E per P. Bugnini accettare e far accettare il pensiero del Papa e i suoi desideri, magari dopo aver fatto presente il parere contrario e le possibili obiezioni, era una preoccupazione costante: ci soffriva quando in qualcuno dei Consultori o anche dei Vescovi trovava una certa resistenza.

Questa fiducia del Papa era per lui sicurezza e sprone a lavorare con tranquillità.

Il clima di lavoro sia con i collaboratori abituali che con i Consultori era sereno: c’era impegno, dialogo, confronto prima delle conclusioni; ma c’era sempre un’aria di amicizia e di stima che dava gusto a lavorare. Un’aria che anche i Vescovi, i responsabili del movimento liturgico che andavano al «Consilium» e poi alla Congregazione per il Culto Divino per lavoro, per problemi, per consiglio, respiravano nell’ambiente di cordialità e di apertura umana. Quante volte Mons. Bugnini, con il sorriso che gli era proprio, sapeva trovare il cammino per aiutare, per consigliare, per proporre soluzioni a chi andava da lui. A volte, poi, sapeva raggiungere anche con un biglietto, una telefonata, l’autore di un articolo, il responsabile di una rivista o di una rubrica per una parola di approvazione, di incoraggiamento, di richiamo quando ce n’era bisogno. Sapeva quanti, magari ingenuamente, si appellano ad uno scritto come ad un’autorità: le riviste liturgiche dovevano essere un aiuto, una guida all’interpretazione e alla realizzazione della riforma liturgica, non un campo di proposte non sensate. Per questo Mons. Bugnini non era avaro di informazioni circa lo sviluppo dei lavori della riforma liturgica. Era necessario che la periferia, i responsabili del movimento liturgico fossero al corrente, anche per coordinare le iniziative sul piano locale. In questa prospettiva nacque «Notitiae» prima come foglio ciclostilato poi, col crescere delle richieste e l’evolversi dell’impostazione, come rivista. In questa stessa linea di informazione si inseriscono le lettere annuali che il «Consilium» inviava ai Presidenti delle Conferenze Episcopali e delle Commissioni liturgiche nazionali: erano un bilancio, una, proiezione, una puntualizzazione di alcuni problemi. Tutto serviva a Mons. Bugnini per creare legami di buoni rapporti tra gli organismi centrali e la periferia. E sono molti, anche tra i Vescovi, che hanno sentito questo come un gesto di amicizia, più che di imposizione o di controllo.

Il lavoro del «Consilium» e della Congregazione ha messo in rilievo anche l’apertura di Mons. Bugnini ai problemi, alle situazioni con le loro note caratteristiche, irripetibili. Mons. Bugnini voleva una normativa liturgi.ca precisa, e vi era fedele personalmente e nel richiederne il rispetto. Ma voleva che fosse tale che ognuno quasi vi si ritrovasse, e che leggendo lo spirito della legge incontrasse la soluzione logica a situazioni anche speciali. Anche il problema dell’adattamento era uno dei punti orientativi del suo lavoro: ha sempre parlato di una riforma la cui ultima tappa dovesse essere frutto del lavoro delle Chiese locali. Ma quel che Mons. Bugnini prevedeva non era un adattamento capriccioso, estemporaneo, fantastico; era il frutto maturo e meditato di una vita ecclesiale vissuta in una linea di sana tradizione e di ardita apertura che accogliesse i nuovi problemi e le espressioni caratteristiche e cristianizzabili di ogni cultura. Sognava una liturgia giovane, viva, espressiva, non ridotta. a pezzo da museo, a semplice esercitazione rituale. Purtroppo non sempre ne da tutti questo concetto è stato recepito esattamente.

Un ultimo aspetto del suo programma di lavoro; la pazienza. C’era chi scalpitava per andare avanti bruciando le tappe. Mons. Bugnini si sforzava di far capire l’esigenza di limitare la corsa perchè si procedesse tutti insieme. C’era anche chi restava fermo: Mons. Bugnini stimolava; ma sapeva anche chiedere che si desse il tempo necessario per l’assimilazione delle idee.

E chiaro che i grandi programmi maturano poco a poco, man mano che le idee che vi soggiacciono vengono capite e fatte proprie. Per questo sapeva anche aver pazienza con chi era arroccato sulla sponda della contestazione. E più di una volta ha chiesto che anche chi era in autorità avesse pazienza.

E in questo clima che si è potuto compiere quell’opera cosi grande della riforma liturgica di Paolo VI e voluta dal Vaticano II.

Mons. Annibale Bugnini assiste ad una conferenza
Mons. Annibale Bugnini
assiste ad una conferenza

Non è certamente solo un’opera umana: Dio è stato presente negli strumenti che la sua Provvidenza si é scelto e preparato. Anche gli strumenti sono importanti per il compimento e la sopravvenienza delle opere di Dio: Mons. Bugnini vide una luce di speranza nella decisione di Paolo VI di costituire la S. Congregazione per il Culto Divino. Nacque dal «Consilium», doveva completarne l’opera e poi provvedere alla realizzazione continua della riforma. Paolo VI affidò a P. Bugnini l’incarico di Segretario. Era naturale che chi aveva condotto la nave fino allora continuasse il percorso fino alla fine: per lui fu un nuovo impegno davanti alla sua coscienza e davanti alla Chiesa per la rinnovata fiducia del Papa, soprattutto quando, elevando lo alla dignità episcopale e ordinandolo personalmente, lo mise ancora più direttamente a parte della sollecitudine per tutte le Chiese.

Mancava ormai poco alla conclusione dei lavori della riforma liturgica, quando 1’11 luglio 1975 giunse inaspettata la fusione tra la S. Congregazione dei Sacramenti e quella del Culto Divino. La decisione era anche logica, ma trattandosi di concludere la riforma liturgica sembrò strano che Mons. Bugnini non venisse chiamato a continuare nell'incarico di Segretario. Fu il secondo momento difficile nel suo cammino di servizio alla liturgia, soprattutto per le solite voci incontrollabili che fecero circolare una serie di apprezzamenti ingiusti e infondati sulla sua persona e sul lavoro della riforma liturgica. E dovette lottare per ritrovare la serenità di spirito che lo portò ad accettare la nuova missione in Iran. L'attività diplomatica lo allontanava dall'impegno diretto per la liturgia e lo allontanava da Roma. La piccola comunità cristiana dell'Iran non avrebbe certamente assorbito tutte le sue capacità e il suo tempo. Mons. Bugnini ha cercato di inserirsi nella realtà, soprattutto spirituale, del popolo in mezzo a cui era chiamato a vivere: ha girato tutto l'Iran per conoscere le diverse situazioni e vedere i luoghi legati alla storia del cristianesimo (e ne ha scritto la storia in un volume di quasi 500 pagine! ha cercato di capirne lo spirito e la cultura; ha collaborato familiarmente con i Vescovi cattolici dei vari Riti riuscendo a stabilire la Conferenza Episcopale.

Non si interessava più di liturgia, ma agiva con lo stesso spirito di apertura ai problemi vivi e alla crescita della Chiesa. Le circostanze della rivoluzione islamica lo portarono a usare ancora la sua capacità di mediazione: questa volta non tra liturgisti ma per la difesa dei diritti umani.

La missione diplomatica, esperienza certo inattesa per lui, ha arricchito il suo spirito di nuove sfaccettature, interessanti anche su piano umano.

Il nome di Mons. Bugnini rimane certamente legato all'opera della riforma liturgica di Paolo VI. Qualcuno ha affermato che, senza P. Bugnini, la Chiesa non avrebbe avuto la Costituzione sulla liturgia né la riforma liturgica. Non si può negare che questo lavoro è stato la parte più importante e più impegnativa della sua vita, è stata la sua gioia e la sua trepidazione per gli anni di maggiore resa nel servizio alla Chiesa. Lo ha sottolineato anche il Card. Casaroli nella Messa esequiale: «È noto il ruolo che egli ebbe nella preparazione e nell'attuazione della riforma liturgica, durante e dopo il Concilio Vaticano II.

Nessuno, anche fra chi dissentisse da alcune scelte concrete da lui favorite nel corso di quella complessa opera di trasformazione e di adeguamento, che i tempi avevano reso necessaria e urgente, potrà legittimamente misconoscere la dedizione e l'entusiasmo con cui il defunto consacrò le proprie energie a tale impegno di portata storica. E nessuno che ami ‘sentire cum Ecclesia’, mantenendo insieme l'animo aperto ai ‘segni dei tempi’, potrà ignorare i risultati positivi che la riforma alla quale egli collaborò ha sortito e continua a sortire, là dov' essa è stata correttamente applicata».

Mons. Bugnini sarà ricordato per il suo amore e il suo servizio alla liturgia. Non va dimenticato il suo servizio e il suo amore alla Comunità. È un amore che, insieme con quello alla liturgia, assorbì già negli anni della formazione.

Aveva avuto davanti l’esempio di confratelli venerabili e validi per lo spirito vincenziano e la loro dedizione alla Comunità. Tra essi ricordava e ammirava in modo speciale, e in certa misura amava anche riprodurlo, Mons. Marina per le sue doti di nobiltà d'animo, di preoccupazione per il rifiorire delle opere della Comunità anche attraverso la promozione delle vocazioni, per sua signorile grandezza e nobiltà nei progetti e nelle iniziative. Mons. Bugnini ha saputo amare della Comunità il passato nelle sue espressioni venerande, raccoglierne e custodirne i ricordi, le figure (si ricordino le biografie di confratelli da lui direttamente scritte o sollecitate per gli «Annali»), le cose anche piccole ma significative per lo spirito, le note caratteristiche. Fu suo il riordinamento dell' archivio provinciale e della biblioteca vincenziana.

Ma sapeva apprezzare e sostenere le iniziative coraggiose e nuove, a volte anche con un entusiasmo e delle manifestazioni che potevano sembrare eccessive o poco prudenti; reagiva contro il semplice mantenimento delle posizioni acquisite. Amava dire che val meglio rifondare, ricominciare da capo con iniziative nuove, che rispolverare quelle tradizionali, solo perchè tali.

Per questo ebbe anche momenti di scontro e di sofferenza nella vita di Comunità, quando gli sembrava che mancasse l'impegno necessario per lo sviluppo delle opere e della vita vincenziana.

Ciò avvenne soprattutto nei suoi anni più giovani, quando era più direttamente impegnato nei ministeri e nelle attività della Comunità. Il suo temperamento non era sempre facile né così sorridente come appariva a chi lo avvicinava in modo non continuo. Se ne rendeva conto, sapeva di far soffrire, e ne soffriva lui stesso. Ma nessuno può negargli di aver amato la Comunità, di aver lavorato e lottato perchè crescesse nel suo servizio alla Chiesa e ai poveri.

Si è dedicato soprattutto al servizio e alla formazione del clero, nel Convitto del Leoniano, con i nostri studenti ancora non sacerdoti della comunità internazionale, e anche con lo stesso lavoro liturgico.

All'interno della Comunità, ha ridato slancio agli «Annali della Missione» che diresse per dieci anni (1947-1957), come pure a «Sintesi Vincenziana» che allora teneva il posto dell'attuale «Bollettino Vincenziano» della Provincia di Roma. Voleva che la Comunità nel suo insieme, e non solo a livello provinciale, fosse informata di ciò che si faceva nelle diverse Province per la sua missione e che anche al di fuori di essa se ne fosse informati a livello ecclesiale. A questo scopo fondò e per quattro anni diresse e praticamente compilò i numeri di «Vincentiana» quando era un semplice bollettino ciclostilato destinato a portare informazioni rapide ed essenziali alle varie Case della Comunità su ciò che avveniva nella vita vincenziana. Lo vedeva come un legame tra le Province, un mezzo per stimolare iniziative e suscitare buone emulazioni.

Il suo servizio alla Comunità, però, non lo considerava un impegno solo personale e limitato alla durata del suo ufficio. Lo manifestò soprattutto nel disimpegno di certe responsabilità come di Superiore o di Consultore Provinciale. Una delle sue preoccupazioni era di formarsi dei collaboratori che fossero poi dei continuatori.

Amava insegnare, portare la sua esperienza ma senza essere opprimente, e quando vedeva che uno era ormai in condizioni di lavorare da solo, gli dava piena fiducia e libertà di azione, pronto a ritirarsi davanti a forze più giovani. Anche da Nunzio Apostolico si senti legato alla Comunità. Per questo si adoperò per una presenza vincenziana più significativa e più aderente alla tradizione locale nell'Iran, anche dopo la rivoluzione islamica. Si rifaceva alla storia della Chiesa in Iran, e all'apporto costruttivo e quasi decisivo che la presenza vincenziana vi aveva recato nell'ultimo secolo. Si veda il numero degli «Annali» (1981, n. 4) che ha dedicato per intero a questo tema. Godette della risposta delle Figlie della Carità, si rattristò per l'impossibilità di aumentare la presenza dei Missionari.

Alla base di questo lavoro umanamente immenso, Mons. Bugnini portava un profondo spirito sacerdotale, ispirato e illuminato dallo spirito caratteristico di San Vincenzo. Alcune note in forma molto sintetica. Lo spirito di fede nella lettura degli avvenimenti, soprattutto quando sono causa di sofferenza e non è sempre dato capirli fino in fondo. Un uguale spirito di fede nel giudicare le persone, specialmente le persone di Chiesa, quando intersecano il nostro cammino e dispongono della nostra obbedienza anche oltre certi limiti umani. Un grande amore al papa come segno e come punto di riferimento della propria fedeltà. Le prove attraverso cui Mons. Bugnini era passato nel suo servizio alla Chiesa lo avevano affinato, lo avevano reso spiritualmente molto sensibile, generoso e comprensibile. Ancora possiamo notare l'amore e la comprensione per i sacerdoti veduti come fratelli (molti devono a Mons. Bugnini aiuto disinteressato in momenti di prova spirituale e materiale); desiderio di servizio ai poveri soprattutto mediante l’evangelizzazione (Mons. Bugnini pensava spesso a certe categorie di persone nel rendere comprensibile e agibile la liturgia, e ritirandosi dalla missione diplomatica sognava terminare i suoi giorni in una piccola parrocchia di campagna, memore del suo primo servizio sacerdotale nell'agro romano); i silenzio e il nascondimento, senza ricerca di riconoscimenti e di applausi, e ciò anche nel momento della prova. Tutto si riassume in un grande amore alla Chiesa, il cui servizio diventa un ideale che anima il lavoro e la fatica quotidiana e li rende gioiosi. All'indomani della nomina a Pro-Nunzio a Teheran, scriveva: «In un grande momento della sua storia, abbiamo cercato di servire la Chiesa, non di servircene ...Abbiamo lavorato con grande dedizione, libertà di spirito, leale ardimento e pronta obbedienza, per la restaurazione liturgica e per difendere le mete raggiunte. Rendiamo grazie al Signore di averci chiamato a questa impresa, destinata ad alimentare le fonti della grazia e ad allietare la Città di Dio. Resta ora da fare il più, e il più difficile: che .la celebrazione dell’«opera della salvezza», di cui siamo stati utilissimi servitori, informi pienamente la vita dei fedeli e della Chiesa, molteplice per il numero delle genti e varia nelle espressioni».

I collaboratori, gli amici, gli estimatori di Mons. Bugnini vorranno certamente ricordarlo facendo loro questa sua preoccupazione: che l'opera iniziata con tanto sacrificio e con tanta gioia non si arresti, ma si completi giorno dopo giorno a lode di Dio e a bene della Chiesa.

E anche la Congregazione della Missione e il Collegio Alberoni vorranno ricordare Mons. Bugnini come figlio fedele e affezionato alunno e raccoglierne il desiderio di una fedele adesione al carisma particolare di servizio alla Chiesa e ai poveri.

P. CARLO BRAGA C.M.

(già collaboratore di Mons. Bugnini per la riforma liturgica)

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